mercoledì 27 ottobre 2010

Il lago del puma



Aspettavo che l'acqua diventasse fuoco e che l'azzurro si lasciasse coprire dall'arancione e dal rosso, speravo che il sole mi ragalasse questi colori per poi lasciar dimorare le stelle in cielo; l'indomani poi sarebbe spuntato nuovamente in un gioco che ormai esiste da sempre perché rinasce con gli stessi colori con cui si fa salutare. Vengono invece verso di me, verso il lago, nuovole dense e pesanti. Le Ande non tradiscono la loro magia e mi regalano un'altra emozione: il temporale sul lago. Questa notte gli spiriti del lago si stan scatendando e io pescatore devo andarli a pregare: non voglio annegare.
Non credo ai miei occhi: la pioggia sta diventando neve, i fiocchi cadono pesanti e grandi ricoprendo il verde dell'erba dei campi. E' primavera qui a 3800 metri, è primavera qui sul Titicaca, è primavera qui sotto la neve.
Domattina sarà stupendo anche se la neve renderà diffcile, se non impossibile, il mio arrivo a Charazani, paesino sperso tra le Ande e che per farsi raggiungere ci chiede di superare un passo di 5000 metri.
Cerco di non preoccuparmi e dal divano scrivo e guardo fuori, ascolto la neve silenziosa che quasi mi fa credere di non esserci, mi fa sperare che domani sarà tutto sciolto. Il silenzio è attorno a me nell'ampia stanza con il pavimento a scacchera rossa e gialla e con due statue di cera che mi guardano; alla parete un grande carta della Bolivia in cuoio del 1859.
Ora è buoio e quache timida luce fa capolino dall'altra sponda del lago e ci tiene compagnia. La dueña, con la sua gonna ampia e colorata, entra con in mano l'erba di cedron per farci fare il mate caldo.
Il caldo del sacco a pelo mi avvolge, in lontanza sento cani abbaiare e il vento raccoglie il loro lamento e lo porta a me; lascio la notte alla notte e attendo domani, attendo le Ande e il lago, attendo che il sole sciolga la neve e mi permetta di giungere a Charazani e dai suoi Kallawaya.


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